Che differenza c'è fra l’affaire Calderoli e il caso Rushdie? Se lo chiede Antonio Socci su Libero stamattina. “La domanda potrà stupire”, riconosce Socci, “riflettiamoci con la mente libera”. Per carità, riflettiamoci pure con calma e sangue freddo. L’articolo l’ho letto tutto, ma io, dopo aver letto, sono rimasto dell’idea che qualche differenza c’è: Rushdie, ad esempio, non era un ministro in carica di un governo qualsivoglia. La differenza che Wind Rose Hotel vede tra un ministro e un vignettista, un attore comico, un militante politico qualsiasi. Ora si potrebbe aggiungere: e uno scrittore di romanzi. Comunque, ecco qua il pezzo dell’articolo che Libero ha riprodotto sul suo sito web. Ce n’è abbastanza per non trovare alcuna pezza d’appoggio per la tesi dell’autore. Ma giudicate voi.
Penso, come tanti, che le trovate e i modi del ministro Calderoli siano simpatici come una rettoscopia. Insomma il tipo non mi piace per niente. Ma ciò detto mi chiedo: che differenza c'è fra la sua vicenda e il "caso Rushdie"? La domanda potrà stupire, ma riflettiamoci con la mente libera. Calderoli ha dichiarato di aver fatto fare una maglietta (ripeto: una banale maglietta), che nessuno ha ancora visto (ripeto: mai visto), dunque praticamente inesistente, dove ha fatto stampare alcune delle innocue vignette del giornale danese. È venuto giù il mondo: sia quello islamico, in Libia (con morti e feriti fatti dal regime), sia quello nostrano (intellettuali e politici in testa). Il ministro, che ha già una fatwa pendente sulla sua testa, è stato "indicato" come "maiale" in un sito che si ritiene vicino ad Al Qaeda e tutti i giornali italiani, tutti i politici e gli intellettuali l'hanno moralmente e politicamente "linciato". Salman Rushdie ha avuto il trattamento opposto. Lo scrittore anglo-indiano pubblicò nel 1989 un romanzo, "Versetti satanici" che è stato letto da un mare di persone (ripeto: letto da migliaia di persone). Il libro era obiettivamente molto ruvido verso Maometto e l'Islam, infatti suscitò le ire degli ayatollah iraniani. L'autore ne ricavò una fatwa, anni di nascondimento, tanti diritti d'autore e la notorietà mondiale. Ebbene, tutta l'intellighentsia del mondo, compresa quella progressista italiana, che non ha mai speso una parola per i due milioni di cristiani massacrati in Sudan dagli islamici, è insorta al suo fianco e da anni lo porta in trionfo come eroe e "martire" del libero pensiero. Per vedere cosa dicono di lui, da anni, basta scorrere le cronache. Il 23 maggio scorso - per esempio - Rushdie ha partecipato al IV festival mondiale delle letterature e l'assessore capitolino alla Cultura Gianni Borgna, intellettuale serio e accorto, l'ha così definito: «Rushdie è divenuto un simbolo vivente di coraggio, indipendenza di pensiero e lotta contro l'intolleranza e il fanatismo.
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