19 dicembre 2007

Il degrado di Brera

Cosa c’è di importante nello storico palazzo di Via Brera, a Milano? Ecco l’elenco:

- la celeberrima Pinacoteca, uno musei pubblici più prestigiosi d'Italia (il «Cristo morto» di Mantegna, «Lo sposalizio della Vergine» di Raffaello, il «Quarto stato» di Pelizza da Volpedo);
- la prestigiosa Accademia di Belle Arti;
- la Biblioteca Nazionale Braidense;
- l'Istituto Lombardo di Scienze e Lettere;
- l'Osservatorio astronomico;
- I'Istituto di fisica generale applicata;
- l'Orto Botanico.

Ebbene, tutto questo ben di Dio versa nel degrado più totale, come si evince da questo articolo del Corriere della Sera, che tra l'altro spiega come ci sia poco da illudersi sul futuro:

«Il degrado è evidente – ammette il direttore dell'Accademia, prof. Ferdinando De Filippi –, ma noi non possiamo fare nulla. Noi delle Belle Arti facciamo parte del Miur, il ministero dell' Univeristà e della ricerca, mentre la Pinacoteca, la Biblioteca Nazionale Braidense fanno parte del Mibac, il ministero dei Beni Culturali. Ci possiamo solo occupare dei corridoi interni, delle aule, mentre il palazzo, il cortile, le statue fanno capo all'Agenzia del Demanio». Una situazione, questa, riconosciuta anche dalla direttrice della Pinacoteca, Luisa Arrigoni: «Siamo un condominio senza proprietario». «Non c'è dubbio che le statue in gesso dei corridoi della Accademia siano sporche – dice ancora il direttore De Filippi -, ma non le possiamo toccare. L'edificio neoclassico di via Brera 28 è un caso unico al mondo perché esprime un concetto di interdisciplinarietà artistica».

Se arrossire fosse ancora di moda, l'Italia dovrebbe assomigliare ad un immenso prato ricoperto di papaveri ...

06 dicembre 2007

Scenari futuribili

La legge che Berlusconi e Veltroni cercheranno di far passare avrà almeno due punti fermi. Primo: una soglia di sbarramento alta, che cancelli o ridimensioni la rappresentanza parlamentare dei partiti più piccoli. Secondo: piena libertà, per i partiti che riusciranno a entrare in Parlamento, di decidere le alleanze dopo il voto.

Lo scrive Luca Ricolfi (su La Stampa di ieri) e mi sembra che abbia perfettamente ragione. Segue una lucida analisi degli scenari che potranno determinarsi a questo punto. Che sono essenzialmente tre. Il primo è che al centro nasca “una piccola Dc”, ossia una formazione di matrice cattolica abbastanza forte da risultare indispensabile sia per una maggioranza di centro-destra sia per una di centro-sinistra”. Ebbene, secondo Ricolfi, “il risultato non sarebbe molto brillante”. Perché il “potere ricattatorio” di quel partito avrebbe partita vinta. Penso che non si possa non essere d’accordo, o almeno io sono dello stesso parere.

Il secondo scenario è che “la piccola Dc” sia effettivamente piccola. In tal caso, osserva Ricolfi, non ci dovrebbero essere problemi. Qui non sarei molto d’accordo: l’esperienza del passato mi ha insegnato qualcosa …

Il terzo scenario è il più improbabile:

L’iniziativa di occupare il centro del sistema politico potrebbe essere assunta - anziché dalle forze del mondo cattolico, da sempre parte integrante del «partito della spesa» - dalle minoranze riformiste e liberali presenti sia nei partiti sia al di fuori di essi. Penso a uomini politici come Daniele Capezzone, Bruno Tabacci, Giorgio La Malfa, Nicola Rossi. O a membri della classe dirigente come Luca Cordero di Montezemolo, Mario Monti, Mario Draghi. In questo caso quel che nascerebbe al centro del sistema politico non sarebbe una piccola Dc, ma un medio partito liberal-democratico. Non il partito dei dipendenti pubblici e delle clientele, ma il partito della modernizzazione e del merito. Anche in questo caso rischieremmo di consegnare troppo potere a un partito ago della bilancia, ma il rischio - forse - sarebbe compensato dalla sua vocazione riformatrice e liberale.


In questo caso, molto improbabile appunto, secondo Ricolfi le cose andrebbero molto meglio. E qui sono di nuovo d’accordo. Mi sembra che il professore abbia dato un ottimo contributo al fine di rendere un po’ più chiare le cose ai non addetti ai lavori. Mi sembrava doveroso segnalarlo. Un po’ meno interessante, invece, è stato il contributo di Giovanni Sartori sul Corsera di ieri, anche se il suo disgusto per i “nanetti” (i partitini) lo condivido tutto.

22 novembre 2007

Come in Germania

Solo un rapido aggiornamento sulla questione del momento, cioe' la "svolta" di Silvio Berlusconi, che e' capitata tra un continente e l'altro per il sottoscritto ... Non ho potuto scandagliare la rete a fondo, ma solo leggere un po' i giornali. Il punto mi sembra che sia stato fatto in due post nei quali mi riconosco come impostazione e scelta delle fonti. La mia valutazione complessiva e' che un grande passo in avanti sia stato fatto, e che ovviamente e come al solito ci sia un mucchio di gente che o fa finta di non capire o proprio non capisce. Eppure la questione non mi sembra particolarmente complicata. Una premessa doverosa, però, la devo fare: sono sempre stato un fautore del sistema elettorale tedesco.

15 novembre 2007

Pregasi leggere (e meditare)

Ultimamente ho avuto poco tempo da dedicare alla blogosfera, senza parlare di "questo" blog, che è stato messo in sonno un po' troppo bruscamente (ma sto per riprendere le pubblicazioni). Pero', ad essere sinceri, non credo di aver perso molto. Oggi ad esempio, ho cercato di leggere post sulle terribili notizie di cronaca provenienti in questi giorni dal Bel Paese, e devo dire che non ho trovato, neppure sui blog piu' importanti e gettonati niente che valesse la pena di leggere. Con una eccezione, che poi non e' per niente una novita', vale a dire il blog di un vecchio amico blogosferico. Un post che bisognerebbe far leggere per premio e per punizione: per premio a chi non si accontenta delle solite chiacchiere su argomenti serissimi, per punizione a chi di chiacchiere ne fa troppe, e su praticamente tutto. L'argomento è il funerale di Gabriele Sandri. Lo condivido a tal punto che se credessi nella telepatia lo potrei considerare come una prova inconfutabile di trasmissione del pensiero da un continente all'altro. Essendo pero' scritto molto meglio di quanto avrei potuto scriverlo io, purtroppo non posso vantare la primogenitura ...

27 ottobre 2007

Draghi

Solo un telegramma per dire “bravo” a Mario Draghi, uno che in giro, in quanto connazionale, ti fa fare oltretutto bella figura. E in più mi associo a queste basilari considerazioni.

07 ottobre 2007

Politica italiana (vista da lontano)

Essendo uno che la maggior parte del tempo viaggia all’estero per lavoro, forse la mia idea della politica italiana è un po’ distorta, non so, ma a me sembra un misto di commedia dell’arte, cabaret e teatro dell’assurdo. E quando leggo certe dichiarazioni ho un attimo di trasalimento. Oggi, ad esempio, ho raccolto due perle del ministro dell'Economia Padoa-Schioppa (intervista alla trasmissione tv "In mezz'ora" su Rai 3, ripresa dal Messaggero).

Prima perla. «Le tasse sono una cosa bellissima, un modo civilissimo di contribuire tutti insieme a beni indispensabili quali istruzione, sicurezza, ambiente e salute».

Ora, che le tasse siano un modo civile, ecc., ecc. non c’è dubbio. Ma che siano anche una cosa bellissima, francamente, mi sembra il discorso che potrebbe fare uno che, con rispetto parlando, ha subito un incidente riportando un forte trauma cranico ...

Seconda perla. «Ci può essere insoddisfazione sulla qualità dei servizi che si ricevono in cambio ma non un'opposizione di principio sul fatto che le tasse esistono e che si debbano pagare».

Bene, esiste qualcuno, da qualche parte, che si oppone per principio al fatto che le tasse esistono e che si debbano pagare. Non lo sapevo, ma ne prendo atto. Quel che mi lascia perplesso è che un ministro dell’Economia abbia il tempo e, come dire, l’estro di ricordargli che no, non si può mica ragionare così, che è sbagliato. No, qualcosa non mi quadra. Forse sono stato troppo in giro. Tra due giorni, comunque, parto per l’Australia, e ci starò un paio di mesi.

05 ottobre 2007

Adesso Grillo fa l'anti-rom

Non c’è da sorprendersi, eppure fa un certo effetto leggere quel che Beppe Grillo ha da dire sui rom. Il link porta al sito di Repubblica, ma il materiale è tratto dal blog (di cui non sono un frequentatore, forse sbagliando, a questo punto, ma si sa che le cattive abitudini sono dure a morire).

PS
Dimenticavo: sui rom sono d’accordo, e non vedo come potrei non esserlo. Per non parlare dell’opinione che il comico-blogger si è fatto su Prodi. Devo cominciare a preoccuparmi?

24 settembre 2007

Avvenire scopre Grillo

L’impopolarità bipartisan della nostra classe politica, da cui scaturisce il fenomeno Grillo, non apparirebbe tanto maiuscola se l’Italia non fosse così clamorosamente migliore di chi la rappresenta.

Questa frase non la si legge sul blog di un fedelissimo seguace di Beppe Grillo, bensì sul quotidiano dei vescovi italiani. A me sembra un tantino esagerata: io avrei qualche dubbio al riguardo. Ma il resto dell'editoriale mi sembra che centri piuttiosto bene il nocciolo della questione. Del resto mi ero già espresso in proposito, condividendo questo tipo di analisi (qui ulteriormente approfondita e ampliata). Ad esempio mi sembrano molto interessanti e condivisibili queste considerazioni:

Il comico-tribuno è il catalizzatore di un pensiero fortemente critico nei confronti del sistema politico e questo orientamento preesisteva al V-Day. Grillo, grande animale da palcoscenico, l’ha fiutato, braccato, azzannato. Enfatizzato. La vera sorpresa di questi giorni - purtroppo, tardano ad avvedersene proprio i politici - è che i trecentomila e più che applaudono Grillo e i moltissimi cittadini che, pur non amando il comico, condividono la stessa inquietudine di fondo, sono i veri protagonisti di una commedia il cui finale è tutt’altro che scritto.Questo movimento d’opinione, infatti, non assomiglia tanto all’Uomo qualunque perché richiama piuttosto altri fenomeni tipici della stagnazione. L’odierna speranza degli italiani, diffusa quanto giustificatamente impaziente, che la politica abbia un sussulto assomiglia piuttosto a quella che proruppe nel primo referendum Segni. Oggi come allora, e dopo tante attese deluse, la sfiducia nella classe politica è alta, le invettive dei guitti altisonanti e la sordità del Palazzo preoccupante.

19 settembre 2007

Il socialismo è morto e sepolto?

Questo post doveva uscire una settimana fa, ma la cosa non è andata in porto. Rimedio adesso, tanto il tema non ha certo perso di attualità. C’è, però, un’altra premessa da fare: è vero che certi ragionamenti si possono fare solo scrivendo un corposo saggio politologico, perché le cose serie sono cose serie, e vanno trattate come si conviene, altrimenti è meglio lasciar perdere. Dunque un articolo di fondo, un editoriale, un’intervista (per non parlare di un post), non sarebbero i contenitori più opportuni, però dal momento che i giornali ci sono, e che devono pur scrivere qualcosa anche sui massimi sistemi, si può benissimo passar sopra certe distinzioni e accettare che il tema venga trattato alla buona. E allora ecco che l’editoriale di Renzo Foa sul Giornale di qualche giorno fa può essere utile. In fondo, poi, lui non ha fatto altro che riprendere e commentare liberamente il ragionamento di Rutelli, il quale, chiudendo la festa della Margherita e appellandosi all’autorità di Lord Antony Giddens, ha decretato che “il socialismo è morto e sepolto” e ha spiegato che la stessa parola socialismo non ha più senso nel XXI secolo. Comunque sia, penso valga la pena di leggere, senza pregiudizi ma anche senza fretta di tirare delle conclusioni. Io almeno mi sforzo.


Renzo Foa su Il Giornale del 10 settembre 2007:

Il merito di Anthony Giddens - il teorico del blairismo - è stato quello prima di avvisare, poi di motivare e infine di ripetere che la parola «socialismo» non ha più senso nel XXI secolo. Il merito di Francesco Rutelli è quello di aver letto le riflessioni dello studioso inglese, di averle capite e di saperle usare nella polemica politica. Lo ha fatto ancora ieri, per rafforzare il senso della sua visione del Partito democratico e per tenere acceso il dubbio sulla sua famiglia di appartenenza: una missione che non può significare l'ennesima piccola evoluzione della vecchia storia delle sinistre italiane ed europee, ma una vera e propria innovazione. Se sul terreno culturale la discussione sul ruolo e la funzione delle socialdemocrazie resta aperta, anche se quel che è successo per un verso a Londra e a Berlino e per un verso opposto a Parigi dovrebbe aiutare a chiarire se non ad archiviare il dibattito, sul piano più strettamente politico l'uscita del leader della Margherita ha un significato preciso, guarda alla collocazione internazionale del nuovo soggetto politico e cerca di indicare nuovi orizzonti al post-comunismo, al post-socialismo e al post-cattolicesimo democratico italiano. Direi che sia l'unica visione possibile, se non si vuole ripetere una storia di strappi incompiuti e di ambizioni frustrate, anche sul piano europeo, dove la «famiglia socialista» appare sempre più priva di capacità innovativa. E aggiungerei che è l'unica risposta sensata a chi ripropone, aggiornandola, come hanno fatto Giavazzi e Alesina, la vecchia formula secondo cui solo una forza che si colloca a sinistra è in grado di attuare politiche liberiste e liberalizzatrici. Ma scommetto che Rutelli non avrà troppi simpatizzanti fra i suoi compagni di avventura nel Pd, dove il richiamo al socialismo europeo, per quanto omesso nella sigla, resta un pilastro ideologico fondamentale. E paradossalmente lo resta per le ragioni tante volte esposte da Giddens: non avendo più un senso, non ha neppure un'identità se non nel richiamo ad una tradizione ottocentesca e novecentesca e, quindi, non comporta alcun impegno. È una scatola usa e getta che chiunque può riempire come vuole. Sono lontani i bei tempi dell'Internazionale socialista che diceva parole chiare, come quando parlavano il cancelliere Schmidt o il presidente Nyerere. Siamo nel secolo che si è lasciato alle spalle non solo il comunismo, ma anche le grandi battaglie per il Welfare. Oggi all'ordine del giorno dell'Europa e dell'Occidente c'è, semmai, la riforma del Welfare. E, su questi dilemmi, il socialismo o balbetta o si adegua alle ricette della Thatcher, di Aznar o della Merkel. Così come Nicolas Sarkozy, in questo 2007, sta diventando sempre più il modello da inseguire ed imitare.Rutelli ha quindi detto una verità. Di più, una banale verità. Oltretutto avvalorata quotidianamente da un dibattito politico in cui le leadership uliviste confermano giorno dopo giorno che del socialismo non resta nulla da utilizzare. Quando Veltroni pone il problema di abbassare la pressione fiscale, quando Domenici e Cofferati chiedono poteri di polizia, quando Amato invoca il modello Giuliani non fanno altro che dire addio al socialismo, anche a quello europeo, e impossessarsi di altre culture, altre storie, altre tradizioni. Ma guai a dare ragione a Giddens e a dire pubblicamente di voler sottrarre l'ultima utopia all'impresa di costruire un partito capace di essere semplicemente come si chiama, cioè democratico e distinto dai socialisti.

13 settembre 2007

E quanto all'antipolitica ...

Per quanto riguarda, invece, l’antipolitica, il Grillo-pensiero, ecc., su wrh c’è di che farsi un’idea (che condivido). E con questo posso finalmente dire che sono tornato per qualche settimana. A risentirci.

La sinistra americana

Il luogo comune che la sinistra americana sia qualcosa di incomparabile di fronte a quella, vecchia e sclerotica, del nostro paese. Qui un’ottima lettura.

17 luglio 2007

Salvare il bipolarismo

Angelo Panebianco si domanda, sul Corriere della Sera di oggi, se sia possibile “salvare il bipolarismo, ossia l'alternanza fra schieramenti contrapposti e, contemporaneamente, «scaricare» in modo permanente l'estrema sinistra, escluderla in via definitiva dalle coalizioni che competono per il governo”. Egli precisa che la questione “non è una fissazione da politologi” (spiegando molto bene perché), ed ha perfettamente ragione. Però, il bipolarismo a cui pensa lui (e che va salvato) non assomiglia per niente a quello che abbiamo in Italia. In ogni caso, nel frattempo, forse non resta che confidare nel referendum. Un editoriale da leggere e meditare. Ovviamente lo condivido completamente.

13 giugno 2007

Italiani all'estero

Mi sono preso una lunga pausa, dovuta a un sovraccarico di lavoro (che per me vuol dire viaggi, viaggi e ancora viaggi …), e non so se riuscirò a tenere il passo anche nell’immediato futuro. Ma ci provo.
Una cosa volevo dire, innanzitutto, e questa, appunto, con una certa cognizione di causa: la percezione dell’Italia all’estero mi sembra aver raggiunto livelli di schizofrenia impressionanti. Nel nord Europa, ma anche negli Stati Uniti, in Canada e in Australia, non sanno se hanno a che fare con dei terrestri o con dei marziani. Gli scandali finanziari e le disavventure imbarazzanti del governo Prodi, da una parte, e dall’altra i trionfi calcistici, l’eccellenza dei nostri vini e dei cibi, la moda, la resurrezione della Fiat, l’inaffondabilità malgrado tutto della nostra economia, ecc., sono contraddizioni che fuori dall’Italia non riescono a spiegarsi.
I più entusiasti di tutti sono i giapponesi: hanno capito che è inutile cercare di capire e ci prendono come siamo, a scatola chiusa. L’Italia laggiù è sempre di moda. I più scettici mio sono sembrati i canadesi anglofobi: sanno poco, ma quel poco non li fa impazzire. Agli americani, invece, mi sembra che non glieni possa importare di meno: pazzi per il Brunello e il Chianti, per Prada e Gucci, ma per il resto buio completo. Siamo una specie di Disneyland, un po’ mafiosi, ma in fondo non cattivi, e la nostra politica fa schifo (ma salvano Di Pietro e Berlusconi, che sono molto conosciuti). Punto e basta.
Oggi come oggi andare in giro col passaporto italiano è diventato sinonimo di stravaganza. Il che, per fare affari, ha ovviamente vantaggi e svantaggi. Al momento prevalgono i primi.
Noi continuiamo a scommettere sullo stellone, gli altri ci guardano increduli e ammirati, scettici e strabiliati. Essere italiani all’estero è un’esperienza unica.
Dimenticavo: l’amico Rob, su WRH, ha sintetizzato egregiamente quel che penso anch’io sulla questione che sta appassionando l’Italia.

26 marzo 2007

Fare blogging, arte difficile

Un dibattito sta animando TocqueVille da un paio di giorni a questa parte. L’argomento è il blog, il suo ruolo informativo e, mi sembra, formativo nell’era di Internet. Ha cominciato Wind Rose Hotel, poi si sono aggiunti 1972, Nullo e JimMomo. Di grande interesse anche il riverbero che in questa discussione ha avuto l’analogo dibattito che si è svolto nella blogosfera britannica tra Oliver Kamm e Norman Geras. Di quest’ultimo, in un certo senso, è il contributo chiave, quello che focalizza il discorso sulla necessità di elevare il livello culturale della blogosfera.
Roberto, su WRH, ha giustamente lamentato un dato di fatto che mi sembra inequivocabile, e cioè che “pochi bloggers sollevano dubbi, pongono domande, esprimono una volontà di ricerca, prima di mettere in circolazione il proprio punto di vista”. E inoltre che “ci si attarda poco a citare e commentare opinioni altrui, autorevoli e collaudate, a vantaggio delle proprie, con un eccesso, a mio parere, di «autostima»”.
E’, in sintesi, la stessa sensazione che ho io quando navigo nella rete e trovo spessissimo esibizioni di pareri tanto poco o mal meditati quanto espressi con un eccesso di sicumera. Invece di riprendere e magari contestare qualcuno dei tanti magnifici editoriali che si scrivono in Italia e nel mondo, si pretende di dire la propria come se ci si sentisse degli Angelo Panebianco o dei Giovanni Sartori. Magari, per carità, tra tanti bloggers ci sarà anche qualcuno che, “da grande”, sarà autorevole e famoso, ma tanto per cominciare anche a questi geni in incognita manca quel minimo di esperienza che dà autorevolezza a un editoriale.
Direi che un po’ più di modestia non guasterebbe. E’ piuttosto fastidioso leggere un post in cui vengono ribaditi fino alla nausea i luoghi comuni che sono merce corrente nel dibattito partitico, spacciandoli per giunta come farina del proprio sacco. Fare più analisi e sparare meno sentenze sarebbe di gran lunga un esercizio meno sterile e più interessante per i lettori.
Come dicevo, comunque, Norman Geras ha colto il vro nocciolo della questione:
But if, from a democratic point of view, there is this shortcoming of debate on the blogs, it needs to be dealt with practically by trying to improve the culture of Internet discussion. There is nothing about the medium as such, about the sheer availability of this new space for debate, one open to much larger numbers of people and to every point of view, that impoverishes democracy.

07 marzo 2007

La questione socialista

Riprendo con un paio di giorni di ritardo la “questione socialista” (convegno di Bertinoro) di cui si è occupato Roberto su WRH con questo post. Poiché condivido pienamente la sua impostazione avrei ben poco da aggiungere, ma ieri, sul Foglio, Antonio Polito ha scritto un articolo sullo stesso argomento che mi sembra degno di attenzione. Lo riproduco per intero qui sotto. La conclusione è significativa: "Sarebbe un paradossale epilogo: perdere il riformismo per risuscitare il socialismo".

La proliferazione di partiti nel centrosinistra prosegue imperterrita. Ultimi arrivati i neo-soc, da pronunciare alla bolognese, detti anche rifondaroli socialisti. Vanno di fretta e hanno ragione. Tra il 22 aprile e il 6 maggio si colloca la data di scadenza del socialismo d’antan in Europa. Un eventuale flop della signora in rosso e del suo contorno di “elefanti” del vecchio Ps francese, a vantaggio del nuovo centro non-partisan di Bayrou o della nuova destra pro-Usa di Sarkozy, sarebbe un colpo alquanto letale per chi vuole far rivivere in Italia l’onorato nome socialista sotto spoglie necessariamente mentite. Un po’ elefanti, in fin dei conti, sono anche loro, quelli di Bertinoro. Intendiamoci, ogni volta che giurano che stavolta faranno la pace e stavolta passeranno sopra alle loro gelosie e stavolta si metteranno insieme, è sempre un bell’amarcord: ti viene perfino voglia di crederci, stavolta. Ma indipendentemente dalla loro buona fede, che è certa, e dall’affetto che quasi tutti si meritano, è qualcos’altro che non torna. Rileggo i nomi degli aspiranti neo-soc: De Michelis, Boselli, Formica; Turci, Caldarola, Macaluso. Lanciano ponti a Mussi e Salvi e dichiarano che, come loro, si opporranno perinde ac cadaver all’incontro tra gli ex comunisti e gli ex dc che si annuncia nel Partito democratico. Oibò. Ma i primi tre con i democristiani hanno lungamente coabitato negli stessi governi, e i secondi tre con i comunisti hanno lungamente convissuto nello stesso partito. Per Formica era più facile prendere un caffè con De Mita e per Macaluso più piacevole andare a pranzo con Cossutta, che frequentare oggi Rutelli e Fassino? Dicono che il problema è la laicità. Che il futuro Partito democratico sarà troppo compromesso con la questione cattolica. Oibò. Lo dicono i nipotini di Togliatti e dell’articolo 7 della Costituzione? Lo dicono gli eredi di Craxi e del nuovo Concordato? Lo dicono all’Ulivo, che per pronunciare timidamente un Dico, Direi o Dixit che dir si voglia, per poco non si rompeva l’osso del collo e perdeva il governo? Il laicismo come malattia senile del socialismo? Aggiungono che il problema è l’Idea Socialista che non muore. Immaginiamo che non si riferiscano alla moglie di Cuccia, ahinoi defunta. Alludono allora al socialismo, alla socializzazione dei mezzi di produzione, alla questione sociale, a tutte le idee del ’900 che cominciano con la radice “social” e che la nuova economia del Duemila ha sepolto con la vanga del “liberal”? Chissà perché, non ce lo vedo De Michelis discutere di liberalizzazioni o di legge Biagi con Salvi. E, se è per questo, neanche Caldarola dibattere di Israele con Mussi. Ma il nome, dicono, il nome conta. Non si chiamano forse socialisti tutti i partiti di sinistra in Europa? Beh, fino a un certo punto. Intanto quelli di maggior successo si chiamano socialdemocratici o laburisti, e i due più grandi hanno anche provato a cambiar nome, il New Labour di Blair e il Neue Mitte di Schröder, pur di trasformarsi in centrosinistra e non fare la fine di Jospin. Qualcun’altro ha perso il governo, come in Svezia o in Olanda, per non averlo saputo fare. Tutti hanno perso la fiducia socialista nel tax and spending, e si sono affidati alla mano visibilmente liberale del mercato, compreso l’amato Zapatero. Il teorico della Terza Via, Tony Giddens, scrive per questo che “il socialismo è morto”: ma non intendo continuare nella metafora funeraria, almeno non prima di vedere come va a Ségolène. E poi, nomina sunt o non sunt consequentia rerum? Tutti questi partiti europei del loro nome si occupano poco perché la loro cosa veleggia tra il 25 e il 35 per cento dell’elettorato, tra le dieci e le venti volte più di quanto possono realisticamente sperare di ottenere, sempre che lo sbarramento sia generoso, i rifondaroli socialisti italiani. Il loro apporto alla rinascita dell’Idea in Europa tenderà a essere, nella migliore delle ipotesi, un po’ labile. A meno che. In effetti un nucleo di pulsioni che il ’900 avrebbe definito “socialiste” da noi resiste. C’è ancora gente in Italia che continua a credere nel riscatto del proletariato e nel conflitto sociale, nell’alta tassazione e nella redistribuzione, nell’azione collettiva e nello sciopero politico, nella piazza e nel movimento, nel pacifismo e nel terzomondismo, e che considera l’economia liberale nemica giurata del progresso dell’umanità. Anche loro sono al momento impegnati in una Rifondazione, ma non è detto che un giorno non possano cambiare l’aggettivo che la qualifica. Finirà così, da Bertinoro a Bertinotti? Il Fausto è furbo e, tutto sommato, viene anche lui dal socialismo (del Psiup). Sarebbe un paradossale epilogo: perdere il riformismo per risuscitare il socialismo.

01 marzo 2007

Le due sinistre

Il teorico della "Terza via", nonché mentore di Tony Blair, Lord Anthony Giddens, ha scritto un articolo, uscito ieri su La Repubblica, in cui parla delle due sinistre che si confrontano oggi nel mondo: quella riformista e quella radicale, naturalmente. Si parla anche del recente libro di Nick Cohen, "What's Left?" e dell'Italia, che ha "un bisogno di­sperato di riforme e innova­zione". Molto interessante e, dal mio punto di vista, estremamente condivisibile. Ho riprodotto l'articolo per intero:

Le due sinistre
di Anthony Giddens
La Repubblica, 27 febbraio 2007


In Gran Bretagna è stato appena pubblicato un libro molto interessante che si intitola What's Left?. Ne è au­tore Nick Cohen, un insigne giornalista di sinistra, sociali­sta sin da giovane, ma che og­gi riconosce che il socialismo è morto da quando l'utopia di un'economia post-capitalista non è più all'ordine del giorno. La morte del socialismo, dice Cohen, ha portato una "tetra liberazione" a chi era schiera­to con la sinistra più radicale. Al posto di prefigurarsi un fu­turo socialista, adesso questa sinistra è libera di accompa­gnarsi a qualsiasi movimento, purché sia contro lo status quo e, più specificatamente, con­tro l'America. Qualsiasi cosa possa pregiudicare la posizio­ne dell'America nel mondo è sottoscrivibile. Chiunque sia contro gli Stati Uniti tout court è patrocinabile. Tutto ciò spinge la sinistra radicale in direzione di alcune visioni del mondo del tutto irrazionali.

Perché mai, si chiede Cohen, la sinistra sottovaluta la minaccia che l'Islam mili­tante rappresenta per i valori dell'Occidente? Questa forma di Islam incarna tutto ciò ver­so cui la sinistra fa mostra di provare avversione: è contro la libertà di espressione, non ammette i valori liberali e cre­de nell'oppressione dichiara­ta del sesso femminile, ivi compresi i delitti d'onore. Perché la Palestina è una causa per la quale la sinistra si bat­te, ma così non è per la Cina, il Sudan, lo Zimbabwe, il Congo e la Corea del Nord? Perché co­loro che hanno marciato ma­nifestando contro l'invasione dell'Iraq non hanno condan­nato il regime fascista di Saddam Hussein con la stessa veemenza con la quale hanno avversato la guerra?

Nel momento in cui il gover­no Prodi è caduto perché due senatori non erano disposti ad accettare la presenza dei sol­dati italiani in Afghanistan o l'allargamento della base Na­to di Vicenza, questi sono interrogativi pertinenti. I Taliban si preparano a scagliare un'offensiva in primavera e la Nato sta portando avanti in Afghanistan un incarico mol­to importante, che vede coin­volti i soldati di vari Paesi. Davvero i contrari a questa missione preferirebbero che l'Afghanistan facesse ritorno a una società dominata da una consorteria religiosa che è tra le più intolleranti e prevaricatrici al mondo? Si può essere d'accordo o in disaccordo con l'iniziale intervento militare in Afghanistan, ma adesso ab­bandonare quel Paese sareb­be il colmo della follia e dell'ir­responsabilità.

Nondimeno, la sinistra oggi è divisa al proprio interno. La sinistra radicale non solo è una variante più avventurosa di riformismo: essa ha altresì una visione completamente diversa del mondo, una che potremmo a ragion veduta de­finire reazionaria. Gli odierni radicali di sinistra sono con­servatori sotto mentite spo­glie. Persistono ad avere una mentalità da Guerra Fredda, ben dopo la scomparsa di quel mondo bipolare. Tuttora spe­rano ... che cosa?

Un ritorno al socialismo o al comunismo non potrà verificarsi, dal momento che era er­rato - così oggi noi riteniamo -il presupposto dal quale parti­vano entrambi, vale a dire il fatto che lo Stato potesse sosti­tuirsi ai mercati nell'adeguare la produzione alle necessità umane. Soltanto i mercati ca­paci di reagire ogni giorno a milioni di indici dei prezzi sa­ranno in grado di affrontare le enormi complessità delle eco­nomie moderne. Questo non significa che dovremmo esse­re alla mercé dei mercati, non più di quanto siamo alla mercé dello Stato. Una società positiva che la sinistra dovreb­be sostenere a livello locale, nazionale e globale è quella che sa controbilanciare un mercato efficiente e un gover­no democratico e dinamico, unitamente a una sfera civile solida, che prende parte a ogni processo; un ordine sociale contrassegnato dalla libertà di azione e di espressione, dalla legalità e dall'uguaglianza tra uomini e donne. Questi sono ideali concreti, non fantasie utopistiche, e sono ideali per i quali vale la pena combattere. La caduta del socialismo non corrisponde alla fine della si­nistra. L'obiettivo di creare una società che sappia abbi­nare prosperità e solidarietà a un basso livello di inegua­glianza è quanto mai vivo.

È triste per me, sostenitore tenace di un centrosinistra coeso in Italia, constatare che pochi individui — di sinistra — potrebbero ancora una volta riconsegnare il governo del Paese alla destra politica. Che genere di politica è mai questa nella quale non vi è senso del­la responsabilità collettiva, nella quale il bene più grande del Paese è sacrificato sull'al­tare della correttezza politica?

A un osservatore esterno tutto ciò appare privo di senso. A me sembra che alcune persone appartenenti alla sinistra tra­dizionale molto semplice­mente non siano pronte ad ac­cettare le responsabilità di governo. Sono felici soltanto all'opposizione, quando di ogni cosa è possibile biasimare la destra, in modo alquanto con­veniente e familiare. Ciò ben si confà a quello che afferma Cohen: solo quando si sa con­tro cosa si è, e non per che co­sa ci si batte, allora, innegabilmente, si è più contenti all'opposizione.

La sinistra tradizionale for­se oggi può ancora trovare qualcuno da ammirare, Hugo Chavez in Venezuela, per esempio, o Evo Morales in Bo­livia, o forse ancora, Fidel Ca­stro. Anche loro ascrivono tut­ti i mali del mondo agli ameri­cani, oppure alle grandi e cat­tive corporation. Nondime­no, si guardi con attenzione a quello che questi leader stan­no facendo nei loro Paesi: Chavez in Venezuela sta distruggendo la democrazia, promette di utilizzare i pro­venti del petrolio nazionale per aiutare gli indigenti, ma da quando egli ha assunto la lea­dership la percentuale di chi è in situazione di povertà è di fatto cresciuta. Morales sta nazionalizzando l'industria petrolifera boliviana, metten­do così in fuga quegli stessi in­vestitori d'oltreoceano di cui l'industria del Paese ha urgen­temente bisogno, se intende essere competitiva e contri­buire allo sviluppo di quella povera nazione. Cuba da qua­ranta anni è una dittatura, con un'infrastruttura economica che è andata letteralmente a pezzi da quando gli aiuti pro­venienti dall'Unione Sovieti­ca sono cessati. Per contro, sotto i governi riformisti di Ri­cardo Lagos, e attualmente di Michelle Bachelet, il Cile è di­ventato la nazione di maggior successo dell'America del Sud. Questo è il Paese al quale gli altri della regione dovreb­bero guardare, per prenderlo a modello per il loro stesso fu­turo. La percentuale di perso­ne che vivevano sotto la soglia di povertà è scesa dal 30 per cento e più di dodici anni fa al­l'odierno 18 percento.


L'Italia ha un bisogno di­sperato di riforme e innova­zione. Dal mio punto di vista soltanto un centrosinistra progressista potrà fornirglie­le. Sia nel caso in cui l'attuale governo sopravviva, sia nel caso in cui esso invece non sopravviva, i progressisti in Ita­lia devono continuare a per­seguire un raggruppamento politico efficiente e integrato. Meglio ancora, un unico Par­tito Democratico, in grado di arrivare al potere e restarvi, senza più dover dipendere - ammesso che ciò sia possibile - da coalizioni fragili ed effi­mere, delle quali fanno parte gruppi politici la cui visione appartiene a un mondo ormai scomparso. Questo è un obiettivo da perseguire con ri­generato vigore e rinnovato impegno, qualsiasi cosa acca­da a breve termine.

26 febbraio 2007

L'ossessione, a monte

Imperdibile, su Il Giornale di oggi, il commento e la risposta di Ruggero Guarini alla fatidica domanda:

Perché Fassino, nei momenti delicati, tenta sempre di rilanciare la leggenda di Berlinguer? Perché D’Alema, quando deve riaccendere l’orgoglio del partito, non manca mai di ricordare la lezione di Berlinguer? Perché Veltroni, tutte le volte che avverte il bisogno di tornare a interrogarsi sui motivi per cui si iscrisse al Pci, rievoca sempre il fascino di Berlinguer?


Così, tanto per ricordare da dove nascono le "contraddizioni" della sinistra.

24 febbraio 2007

Nuovo Blogger

Ho aggiornato il blog alle nuove potenzialità della piattaforma Blogger. Mi sembra niente male: facile, intuitivo, veloce. Ora l'unico problema sarà riuscire a metterci dentro qualche post di tanto in tanto. Ma chi passa da queste parti una volta o due al mese sa che c'è da farsi poche illusioni. Abbiate pazienza, ma sappiate che ci sono anche quando non posto. Il mio giro per la blogosfera, infatti, è quasi giornaliero. Ci sono blog che leggo prima dei giornali e a cui dedico più tempo che al Corriere o alla Stampa. Scrivere, malauguratamente, richiede più tempo che leggere. Che ci si può fare?

Il ritorno

Ennesima figuraccia. Ennesima presa in giro. Non c'è argine alla crisi di credibilità della politica italiana. Napolitano, forse, non poteva fare altro di fronte alla tenacia con la quale una maggioranza inesistente pretende di rimanere in sella. Ma adesso andare a spiegare in giro per il mondo perché il governo è andato in crisi, e perché ora non lo è più, cioè che cosa è cambiato nel frattempo, non sarà un'impresa facile. Attualmente sono in Canada, e le persone con cui ho a che fare mi fanno qualche domanda. Non perché muoiano dalla voglia di capire quel che succede in Italia (sono abituati a non capirci nulla e ci hanno messo una croce sopra), quanto perché mi considerano una persona normale che forse può chiarirgli le idee su un Paese che bene o male ha un suo peso. Penso che mi inventerò qualcosa come la teoria del grande palcoscenico che un amico lontano che non difetta del necessario sense of humour ha elaborato per farsi una ragione delle cose italiche. Ma non so se opterò, a titolo di esempio, per Cavalleria Rusticana, La Traviata o Pagliacci ...

18 gennaio 2007

Si consiglia di leggere

Avendo avuto un po' d tempo, oggi è stata una giornata di letture in giro per la blogosfera. Vorrei quindi segnalare le cose che mi sono sembrate più interessanti.

La prima riguarda un paese che mi è caro e conosco abbastanza bene, anche senza avere una conoscenza decente della lingua, vale a dire la Germania. Su Walking class si racconta molto bene come e perché finisce l’era Stoiber.

La seconda è un post su pritreviso.splinder.com che spiega in dettaglio e commenta per benino la notizia che ci ha fatto tutti fare salti di gioia, e cioè che in base all'indice delle libertà economiche elaborato dalla Heritage Foundation e dal "Wall Street Journal", l'Italia, più o meno, è come l'Uganda.

La terza l'ho letta su windrosehotel e riguarda la "teoria del complotto" relativamente all'11 settembre. Da un esponente della sinistra radicale americana arriva una stroncatura definitiva e beffarda delle sciocchezze che si sono udite in questi anni su quel tagico avvenimento.

La quarta la copio/incollo direttamente da Wittgenstein, perché è un post telegrafico:

Piuttosto che farsi venire un'idea o fronteggiare l'evidenza, Piero Fassino fa il suo onesto lavoro e timbra una letterina di azioni-di-governo, riforme-strategiche, sedi-di-impostazione, strumenti-con-cui-avviare, e finisce per confermare ciò che nega.

Giustizia ingiusta

Ci sono notizie "giudiziarie" che definire imbarazzanti è un pietoso eufemismo. Cito per comodità dal Riformista di oggi:

Uno dei consulenti dei pm impegnati nell’esame delle forbici sequestrate a casa dell’ingegnere Elvo Zornitta - il presunto Unabomber da settimane sbattuto in prima pagina e sulle tv di tutt’Italia - è stato iscritto nel registro degli indagati dalla procura della repubblica di Trieste. Secondo il sito internet di Panorama avrebbe - il condizionale è d’obbligo - modificato le forbici al fine di renderle compatibili con un lamierino di ottone trovato nell’ordigno inesploso il 2 aprile 2004 nella chiesa di Portogruaro, in provincia di Venezia.

Per uno che viaggia per lavoro fuori dall'Italia per gran parte dell'anno queste sono cose che fanno passare la voglia di tornare e inducono a decidersi una buona volta ad accettare qualche proposta che preveda un espatrio pressoché definitivo. Comunque, sperando che la notizia possa essere smentita dai fatti, non resta che associarsi alle considerazioni conclusive dell'editoriale succitato.

01 gennaio 2007

Buon 2007!

Neanche un super-latitante della blogosfera quale il sottoscritto può sottrarsi all'obbligo morale di augurare a tutti un

Felice Anno Nuovo!
A risentirci presto, spero!