Riprendo con un paio di giorni di ritardo la “questione socialista” (convegno di Bertinoro) di cui si è occupato Roberto su WRH con questo post. Poiché condivido pienamente la sua impostazione avrei ben poco da aggiungere, ma ieri, sul Foglio, Antonio Polito ha scritto un articolo sullo stesso argomento che mi sembra degno di attenzione. Lo riproduco per intero qui sotto. La conclusione è significativa: "Sarebbe un paradossale epilogo: perdere il riformismo per risuscitare il socialismo".
La proliferazione di partiti nel centrosinistra prosegue imperterrita. Ultimi arrivati i neo-soc, da pronunciare alla bolognese, detti anche rifondaroli socialisti. Vanno di fretta e hanno ragione. Tra il 22 aprile e il 6 maggio si colloca la data di scadenza del socialismo d’antan in Europa. Un eventuale flop della signora in rosso e del suo contorno di “elefanti” del vecchio Ps francese, a vantaggio del nuovo centro non-partisan di Bayrou o della nuova destra pro-Usa di Sarkozy, sarebbe un colpo alquanto letale per chi vuole far rivivere in Italia l’onorato nome socialista sotto spoglie necessariamente mentite. Un po’ elefanti, in fin dei conti, sono anche loro, quelli di Bertinoro. Intendiamoci, ogni volta che giurano che stavolta faranno la pace e stavolta passeranno sopra alle loro gelosie e stavolta si metteranno insieme, è sempre un bell’amarcord: ti viene perfino voglia di crederci, stavolta. Ma indipendentemente dalla loro buona fede, che è certa, e dall’affetto che quasi tutti si meritano, è qualcos’altro che non torna. Rileggo i nomi degli aspiranti neo-soc: De Michelis, Boselli, Formica; Turci, Caldarola, Macaluso. Lanciano ponti a Mussi e Salvi e dichiarano che, come loro, si opporranno perinde ac cadaver all’incontro tra gli ex comunisti e gli ex dc che si annuncia nel Partito democratico. Oibò. Ma i primi tre con i democristiani hanno lungamente coabitato negli stessi governi, e i secondi tre con i comunisti hanno lungamente convissuto nello stesso partito. Per Formica era più facile prendere un caffè con De Mita e per Macaluso più piacevole andare a pranzo con Cossutta, che frequentare oggi Rutelli e Fassino? Dicono che il problema è la laicità. Che il futuro Partito democratico sarà troppo compromesso con la questione cattolica. Oibò. Lo dicono i nipotini di Togliatti e dell’articolo 7 della Costituzione? Lo dicono gli eredi di Craxi e del nuovo Concordato? Lo dicono all’Ulivo, che per pronunciare timidamente un Dico, Direi o Dixit che dir si voglia, per poco non si rompeva l’osso del collo e perdeva il governo? Il laicismo come malattia senile del socialismo? Aggiungono che il problema è l’Idea Socialista che non muore. Immaginiamo che non si riferiscano alla moglie di Cuccia, ahinoi defunta. Alludono allora al socialismo, alla socializzazione dei mezzi di produzione, alla questione sociale, a tutte le idee del ’900 che cominciano con la radice “social” e che la nuova economia del Duemila ha sepolto con la vanga del “liberal”? Chissà perché, non ce lo vedo De Michelis discutere di liberalizzazioni o di legge Biagi con Salvi. E, se è per questo, neanche Caldarola dibattere di Israele con Mussi. Ma il nome, dicono, il nome conta. Non si chiamano forse socialisti tutti i partiti di sinistra in Europa? Beh, fino a un certo punto. Intanto quelli di maggior successo si chiamano socialdemocratici o laburisti, e i due più grandi hanno anche provato a cambiar nome, il New Labour di Blair e il Neue Mitte di Schröder, pur di trasformarsi in centrosinistra e non fare la fine di Jospin. Qualcun’altro ha perso il governo, come in Svezia o in Olanda, per non averlo saputo fare. Tutti hanno perso la fiducia socialista nel tax and spending, e si sono affidati alla mano visibilmente liberale del mercato, compreso l’amato Zapatero. Il teorico della Terza Via, Tony Giddens, scrive per questo che “il socialismo è morto”: ma non intendo continuare nella metafora funeraria, almeno non prima di vedere come va a Ségolène. E poi, nomina sunt o non sunt consequentia rerum? Tutti questi partiti europei del loro nome si occupano poco perché la loro cosa veleggia tra il 25 e il 35 per cento dell’elettorato, tra le dieci e le venti volte più di quanto possono realisticamente sperare di ottenere, sempre che lo sbarramento sia generoso, i rifondaroli socialisti italiani. Il loro apporto alla rinascita dell’Idea in Europa tenderà a essere, nella migliore delle ipotesi, un po’ labile. A meno che. In effetti un nucleo di pulsioni che il ’900 avrebbe definito “socialiste” da noi resiste. C’è ancora gente in Italia che continua a credere nel riscatto del proletariato e nel conflitto sociale, nell’alta tassazione e nella redistribuzione, nell’azione collettiva e nello sciopero politico, nella piazza e nel movimento, nel pacifismo e nel terzomondismo, e che considera l’economia liberale nemica giurata del progresso dell’umanità. Anche loro sono al momento impegnati in una Rifondazione, ma non è detto che un giorno non possano cambiare l’aggettivo che la qualifica. Finirà così, da Bertinoro a Bertinotti? Il Fausto è furbo e, tutto sommato, viene anche lui dal socialismo (del Psiup). Sarebbe un paradossale epilogo: perdere il riformismo per risuscitare il socialismo.
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