11 febbraio 2008

La quadratura del cerchio

Su Il Giornale di oggi Claudio Borghi svolge una riflessione interessante circa la svolta che i due grandi partiti allo stato nascente hanno impresso al sistema politico nazionale. Dopo la “camicia di forza” rappresentata nel recente passato dall’ingresso nell’euro, oggi si registra un altro passo avanti in direzione del buon governo:

Lo scivolo verso il disastro sembrava inevitabile ma per fortuna l’ingresso nell’euro ha rappresentato la prima medicina, sotto forma di una camicia di forza costituita dal vincolo di bilancio. In pratica non si poteva più spendere liberamente, pena l’uscita dai parametri di Maastricht.
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La creazione di due grandi partiti potrebbe rappresentare la quadratura del cerchio: si tratta di un’ulteriore camicia di forza che potremmo chiamare «vincolo di dissenso», annullando la possibilità di veto di un partitino minore ed al contempo mantenendo la motivazione al buon governo data dal timore dell’alternanza con l’altra forza.
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Il fatto che l’approdo a questa soluzione sia stato su base volontaria e non imposto esternamente con il referendum (che diventa a questo punto indifferente) è un’ulteriore garanzia di tutela ed è un punto di arrivo migliore della grande coalizione, che rischia di non avere alternative temibili, diventando alla lunga passiva. È una grande occasione.

Non ci resta altro che sperare che Borghi abbia ragione. Personalmente oserei dire che l'ottimismo (la possibilità che si arrivi alla "quadratura del cerchio") non sarebbe del tutto fuori luogo.

Colloqui americani

Durante la mia ultima prolungata permanenza all’estero ho avuto modo di parlare con parecchi americani “in carriera”, gente lanciatissima, relativamente giovane, dinamica. Naturalmente l’argomento erano le primarie. La cosa che più mi ha colpito è stata la scarsissima considerazione per la quasi totalità dei candidati. Direi che il clima politico non sembra molto diverso da quello italiano. L’unica eccezione è Obama, che tra i democrats furoreggia come un nuovo Kennedy. Un fenomeno interessante, come può esserlo quello di questi americani “wasp” che stravedono per un candidato di colore. Un segno, direi, di quanto le cose sono cambiate negli States in questi ultimi anni: qualcosa di impensabile fino a poco tempo fa l’accettazione piena, senza riserve, della possibilità di vedere un nero alla Casa Bianca. Ne sono rimasto affascinato.

Un’altra cosa che mi aveva colpito era la diffidenza per Rudy Giuliani. Quindi la sua clamorosa caduta, devo dire, non mi ha meravigliato più di tanto. Sia tra i filo-democratici che tra i filo-repubblicani era opinione abbastanza diffusa, per esempio, che Giuliani, in realtà, non volesse affatto correre veramente per la presidenza. Non ho capito bene da cosa traessero questa convinzione, ma l’idea era che il “Sindaco d’America” sapeva benissimo che i repubblicani “doc” non lo avrebbero sostenuto. In effetti le cose sono andate così, e forse qualcosa di vero, in quelle dietrologie, c’era.

Sarà poi un caso, ma non ho trovato nessuno che tifasse o almeno dimostrasse stima per Hillary. “E’ forte soltanto negli apparati del partito”, mi dicevano, ma alla gente non piace neanche un po’, e “non vale nemmeno la metà di suo marito” e cose del genere. Povera Hillary. E difatti gli ultimissimi risultati parlano di una disfatta.

McCain, tutto sommato, non dispiace. Nessuno stravede, ma non suscita neppure particolari ostilità. Tanto che, volendo azzardare una previsione, mi sa che è lui il grande favorito.

Un’ultima considerazione: se i risultati finora confermano le impressioni che avevo riportato dai miei colloqui quotidiani (qualche volta, d’accordo, davanti a un bicchiere di bourbon …), le mie letture, sia americane (i maggiori newspapers) che italiane (idem), non ci hanno azzeccato neanche un po’. Questo vorrà pur dire qualcosa. O no?