25 maggio 2006

TocqueVille, la Città dei Liberi

TocqueVille è un aggregatore di blog liberali, conservatori, neoconservatori, riformatori e moderati, che, ispirandosi all'insegnamento del grande Alexis de Tocqueville, vuole diffondere il verbo della libertà. In Italia questa realtà rappresenta un tentativo inedito di incoraggiare e sviluppare una cultura politica più aperta, moderna, anti-ideologica, attenta a quanto si muove anche al di fuori del nostro Paese, soprattutto negli Stati Uniti, ma non solo.
Un amico blogger ha contribuito a farla nascere, poi ne era uscito per coerenza con la propria appartenenza culturale alla sinistra (perché "la Città dei Liberi" si stava caratterizzando come "la Right Nation italiana") e adesso vi è rientrato ritenendo che, alla luce del malinconico spettacolo offerto da una sinistra incapace di imboccare in maniera definitiva la via del liberal-socialismo e di liberarsi delle ipoteche di un estremismo più vitale che mai, questo fosse un passo quasi obbligato per un blogger che crede nella libertà. Beh, il suo percorso mi ricorda talmente da vicino il mio, il suo conflitto interiore è così simile a quello che ho vissuto io, che ad un certo punto mi sono deciso a varcare anch'io la soglia di questa Città.
Il mio è un blog molto part-time, ma una testimonianza la puòdare lo stesso. Ed io l'ho data iscrivendo Foglie d'Erba a TocqueVille.

Andate a raccontarlo a qualcun altro ...

Da Addis Abeba arriva una notizia piuttosto strana: un ristoratore cristiano sarebbe stato sorpreso nel suo negozio ad usare le pagine del Corano per incartare gli acquisti (cibo) dei clienti, e per pulirsi le mani. “Ovviamente” sarebbe questa la causa delle violente manifestazioni anticristiane al grido di «Allah è grande» durate ore e con lanci di pietre che si sono tenute ieri a Jijiga, cittadina nell'est dell'Etiopia, un'area ad ampia maggioranza musulmana ai confini con la Somalia. Ne riferisce Il Giornale. E naturalmente nessuno crede che le manifestazioni siano la conseguenza del gesto blasfemo del negoziante, per la semplice ragione che nessuno crede che il gesto in questione si sia mai verificato.

16 maggio 2006

Partito democratico

Con l'incarico a Romano Prodi, si risolverà magari il problema della lista, ma quello del Partito democratico mi sa di no. Scettico, ad esempio, è Michele Salvati nell'editoriale di oggi. Proprio come Paolo Franchi ieri. Si sta diffondendo un certo pessimismo, indubbiamente.

10 maggio 2006

Segni del declino

Ora che i Democratici di Sinistra sono sul punto di mettere un loro uomo sul colle del Quirinale quasi tutti, nel Palazzo, potranno chiamarsi soddisfatti: i ds, ovviamente, i dl che hanno piazzato Marini al Senato, i rifondaroli che hanno sistemato Bertinotti (togliendoselo dai piedi e sostituendolo con Giordano che è un po’ più al loro livello), i forzisti (che finalmente potranno gridare al regime) quelli di AN (che con un ex comunista sul colle si possono sentire sdoganati definitivamente anche loro perché si sa che una mano lava l’altra). Dicevo “quasi tutti” perché quelli di Casini, ad esempio, lo voterebbero pure Napolitano, ma non sarebbero contenti lo stesso perché non hanno niente da guadagnarci. I dalemiani poi, per ovvie ragioni salti mortali non ne faranno. Il bilancio, però, è ottimo.

Fuori dal Palazzo, invece, le cose potrebbero stare diversamente. Napolitano è una scelta talmente malinconica che quasi mi viene da piangere. Che sia politicamente quello che è conta molto meno, penso, che ciò che lui è di per sé, come figura. Allontanerà la gente dalle istituzioni perché non ha comunicativa, né simpatia, né bonomia, né ispira il rispetto di una cultura chiaramente superiore. Una scelta scialba. E’ incredibile la pochezza diessina: dei due nomi che hanno fatto neanche uno è neppure lontanamente adeguato. Quasi quasi persino Gianni Letta è meglio. E’ il segno del declino inarrestabile di quello che fu, nel bene e nel male, un grande partito.

04 maggio 2006

Il 5 maggio di Tony Blair

Sul Riformista di oggi i guai di Tony Blair nel giorno delle elezioni locali. Al centro il tema dell'immigrazione e le poco commendevoli performances del ministro degli Interni Charles Clarke. L'articolo del Riformista è accessibile solo agli abbonati, pertanto lo copio/incollo qui di seguito.

REQUIEM. CLARKE E GLI ALTRI, TRAVOLTI DALL’IMMIGRAZIONE
Blair attende il suo cinque maggio
DI MAURO BOTTARELLI

Londra. I giornali del mattino, dal Daily Mail al Times fino al Sun, non lasciavano scampo a Charles Clarke: tutti sparavano in prima pagina la notizia in base alla quale Mustafa Jamma, il killer somalo della poliziotta e madre di tre figli, Sharon Beshenivsky, uccisa lo scorso novembre doveva essere espulso dalla Gran Bretagna nove mesi prima di compiere l’omicidio. Come dire: se l’Home Office avesse fatto il suo dovere, questa donna sarebbe ancora viva. Un macigno sulle spalle già stanche e curve del suo titolare che, alle 11.30 del mattino, ha preso la parola ai Commons per un intervento reso necessario e improrogabile dai dettagli sempre più compromettenti che stanno facendo gonfiare a dismisura lo scandalo, dalle richieste di dimissioni sempre più pressanti di Tory e liberaldemocratici e dall’imminenza del voto amministrativo di oggi, un disastro annunciato che potrebbe - con una bassa affluenza alle urne - trasformarsi addirittura in tragedia politica per il Labour. Il ministro si è difeso attaccando. O, meglio, annunciando il reperimento e l’espulsione di 70 dei delinquenti ingiustamente rilasciati e proponendo misure più rigide riguardo i criminali stranieri che comportino l’immediata espulsione per chiunque si sia macchiato di un crimine che preveda la reclusione. Richiesta immediatamente ribadita da Tony Blair nel corso del question time seguito all’intervento di Charles Clarke, durante il quale il primo ministro è stato frontalmente attaccato da David Cameron, secondo cui «la gente sta pagando il prezzo dell’arrogante attaccamento al potere di un leader che ha completamente perso il controllo della situazione». Per Tony Blair, invece, Clarke sta cercando di risolvere una situazione grave dovuta ad «un sistema che non ha funzionato per anni e che ora invece funziona. Penso che sia giusto che continui a farlo poiché è completamente sbagliato affermare che questo problema sia stato creato o sia iniziato sotto questo ministro dell’Interno». Sprezzante la replica di David Cameron: «Chi ascolta questa risposta penserà seriamente che sia patetica». Uno scaricabarile? Non proprio, visto che comunque il Labour governa da nove anni e soprattutto che questa situazione non si presenta per la prima volta all’attenzione della politica. Il problema rappresentato dallo scandalo, anche in previsione del voto, è che questo fallimento - oltre ad andare a toccare un nervo scoperto della società britannica - si pone come la prova lampante della recidività del governo laburista in materia. Nel febbraio 2004, infatti, un’inchiesta del Sunday Times resa possibile dalle delazioni del funzionario dell’Home Office, Steve Moxon, portò alla luce un’incredibile serie di incompetenze, insabbiamenti ed abusi d’ufficio per quanto riguardava i flussi migratori e il rilascio di permessi di soggiorno, la cosiddetta managed migration. In quel caso lo scandalo costò immediatamente il posto al titolare del ministero, Beverly Hughes ma anche allo stesso Moxon che fu licenziato in tronco l’8 marzo 2004: il quale, però, si rifece con i diritti d’autore del suo libro, The great immigration scandal. A gioire per questa pressione sul governo sono chiaramente i partiti che maggiormente spingono sull’acceleratore della lotta all’immigrazione clandestina e della sicurezza, ovvero i conservatori e il British national party. Quest’ultimo, stando alle ultime rilevazioni, attende soltanto il dato dell’affluenza per poter cantare vittoria: più il turnout è basso, più il partito xenofobo di Nick Griffin può avvicinarsi al traguardo storico di aggiungere 70 consiglieri ai 26 su cui può già contare. La tensione razziale, in questi giorni, è alle stelle. Colpa dello scandalo che ha investito l’Home Office, ovviamente, ma anche del clima di esasperazione che si respira in molte aree industriali della cintura londinese e della Midlands. E’ dell’altro giorno la notizia del fermo di un 33enne bianco ritenuto responsabile di tre attentati incendiari in altrettanti negozi di alimentari gestiti da pachistani nell’East End londinese, uno dei quali è costato la vita a Khizar Hayat, bruciato vivo nel suo bazar di Kennington. Il voto di oggi, quindi, si pone più che mai come un referendum sull’azione di governo più che come una tornata prettamente amministrativa e locale: «Se gli elettori sceglieranno di soprassedere a questa spettacolare incompetenza, Blair potrà dirsi fortunato», sentenziava ieri impietoso il Times. Ancora ieri i sondaggi vedevano i Conservatori di David Cameron avanti 35 a 32. La mattina di domani potrebbe davvero essere degna della sua nomea per Tony Blair: 5 maggio.

02 maggio 2006

Il Manifesto di Euston

Ho firmato il "Manifesto di Euston" e consiglio vivamente i lettori di questo blog di fare altrettanto. Il Foglio ha pubblicato qualche giorno fa una traduzione in italiano e Christian Rocca l'ha copiata/incollata sul suo blog. Per praticità la ripubblico anche qui per intero. Su Wind Rose Hotel c'è il post dal quale ho appreso del Manifesto. Tra l'altro esprime un punto di vista che sostanzialmente coincide con il mio (ma non è la prima volta con WRH). Interessante anche la citazione di un articolo di Christopher Hitchens, che come sempre ha il potere di mettere in azione le cellule cerebrali del lettore.
Ecco il Manifesto:

Il Manifesto di Euston
Pubblicato da IL FOGLIO del 26 aprile 2006


A. Presentazione
Siamo democratici e progressisti e proponiamo un nuovo riallineamento politico. Molti di noi appartengono alla sinistra, ma i principi qui esposti non intendono escludere altre tradizioni politiche; vogliamo, piuttosto, andare oltre la sinistra socialista e accogliere liberali egalitaristi ed altri che si impegnano per la democrazia senza ambiguità ed incertezze.
Intendiamo infatti ridefinire il pensiero progressista distinguendo nettamente tra la sinistra rimasta fedele ai propri valori più autentici e quella che invece si è ultimamente mostrata troppo arrendevole nel difendere proprio quei valori. Si tratta dunque di fare causa comune con i democratici autentici, siano essi socialisti o no. Questa iniziativa è nata e ha destato l’interesse maggiore su Internet, soprattutto nella “blogosfera”.
Abbiamo tuttavia l’impressione che i media tradizionali, come gli altri luoghi della politica contemporanea, stiano sottostimando il potenziale di questa proposta. Le affermazioni di principio qui contenute rappresentano solo un inizio. Infatti con questi contenuti avviamo un sito Internet che sarà al servizio della corrente di opinione che speriamo di rappresentare e dei diversi blog o altri siti web che condividono questo invito a ridefinire la politica progressista.

B. Principi generali
1. Per la democrazia
Noi siamo assolutamente vincolati e impegnati a difendere le norme, le procedure e le istituzioni democratiche – libertà di opinione e riunione, libere elezioni, separazione tra potere legislativo, esecutivo e giudiziario, e separazione tra stato e religione. Noi attribuiamo grande valore alle consuetudini e alle istituzioni, foriere di buon governo, di quei paesi nei quali si sono radicate le democrazie liberali e pluraliste.

2. Non giustifichiamo le tirannie
Rifiutiamo qualsiasi giustificazione o indulgenza per i regimi reazionari e per i movimenti nemici della democrazia – regimi che opprimono i propri cittadini e movimenti che aspirano a farlo. Ci distinguiamo nettamente da quegli elementi della sinistra disposti ad offrire attenuanti e comprensione a forze politiche di quella sorta.

3. Diritti umani per tutti
Siamo convinti che i diritti umani fondamentali contenuti nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo siano esattamente e giustamente universali. Le violazioni di tali diritti devono essere egualmente condannate, chiunque ne sia responsabile e indipendentemente dal contesto culturale nel quale sono commesse. Rifiutiamo i doppi standard dei quali si serve un’opinione autodefinita progressista, che condanna molto più duramente le violazioni (meno importanti, anche se vere) perpetrate dai governi occidentali che non quelle, palesemente molto più gravi, commesse altrove. Rifiutiamo inoltre il punto di vista (relativismo culturale) secondo il quale in determinate nazioni o popolazioni i diritti umani fondamentali non sono applicabili.

4. Eguaglianza
Siamo favorevoli alle politiche di tipo egalitarista. Auspichiamo cambiamenti nei rapporti tra i sessi (finché non sarà raggiunta una completa uguaglianza di genere), tra le diverse comunità etniche, tra quelle di diversa affiliazione religiosa e quelle di nessuna religione, e tra le persone di diverso orientamento sessuale – e auspichiamo in generale una più vasta eguaglianza sociale ed economica. Lasciamo aperto, poiché tra noi esistono in proposito punti di vista diversi, il problema di quali forme economiche tale eguaglianza debba assumere; in ogni caso, affermiamo gli interessi dei lavoratori e il loro diritto di organizzarsi per difendere tali interessi. I sindacati democratici sono organizzazioni essenziali per la difesa degli interessi dei lavoratori e costituiscono una forza fondamentale per la promozione dei diritti umani, della democrazia e dell’internazionalismo egalitario. I diritti del lavoro sono diritti umani. L’adozione in tutto il mondo delle Convenzioni della Organizzazione Mondiale del Lavoro – oggi ignorate da molti governi in ogni parte del mondo – è per noi una priorità. Siamo impegnati nella difesa dei diritti dei bambini e nella lotta alla schiavitù sessuale e a ogni forma di maltrattamento istituzionalizzato.

5. Sviluppo economico per la libertà
Siamo favorevoli allo sviluppo economico mondiale come fattore di libertà e lottiamo contro l’oppressione economica strutturale e il degrado ambientale. L’attuale espansione dei mercati globali e del libero scambio non deve servire i ristretti interessi di una piccola élite di manager nel mondo industrializzato e dei loro soci nei paesi in via di sviluppo. I benefici dello sviluppo su vasta scala attraverso l’espansione del commercio mondiale devono essere quanto più possibile diffusi, affinché soddisfino gli interessi sociali ed economici dei lavoratori, dei contadini e dei consumatori in ogni paese. Globalizzazione deve voler dire integrazione sociale e impegno verso la giustizia sociale in tutto il mondo. Per raggiungere questi obiettivi, siamo a favore di una riforma radicale dei principali organismi di governo economico mondiale (Organizzazione Mondiale del Commercio, Fondo Monetario Internazionale, Banca Mondiale) e sosteniamo il commercio equo, l’incremento degli aiuti internazionali, la cancellazione del debito e la campagna per la fine della povertà (Make Poverty History). Lo sviluppo può accrescere le aspettative di vita e la qualità della vita, alleviando i lavori pesanti e riducendo la giornata lavorativa; può portare libertà ai giovani, nuove opportunità di vita agli adulti e sicurezza agli anziani. Amplia gli orizzonti culturali e le possibilità di viaggiare e aiuta a rendere amici gli estranei. Lo sviluppo globale deve essere, inoltre, perseguito in modo compatibile con quanto è sostenibile dall’ambiente naturale.

6. No all’anti-americanismo
Rifiutiamo senza eccezioni l’anti-americanismo che oggi avvelena tanta parte del pensiero di sinistra (e settori di quello di destra). Non diciamo che gli Stati Uniti debbano essere considerati una società modello; siamo coscienti dei suoi problemi e dei suoi limiti, che sono in qualche misura comuni a gran parte dei paesi sviluppati. Gli Stati Uniti sono un grande paese e una grande nazione, sede di una democrazia forte, con tradizioni illustri e durature conquiste politiche e sociali. Le sue popolazioni hanno prodotto una cultura palpitante che è fonte di godimento, ispirazione ed emulazione per miliardi di persone. La politica estera degli Stati Uniti si è spesso contrapposta a movimenti e governi progressisti e ha appoggiato quelli reazionari e autoritari; tuttavia, questo non giustifica pregiudizi generalizzati contro quel paese o i suoi abitanti.

7. Per due popoli due stati in Palestina
Riconosciamo il diritto all’autodeterminazione sia degli israeliani sia dei palestinesi, nel contesto di una soluzione che preveda due diversi stati. Non potrà esservi soluzione ragionevole del conflitto israelo-palestinese che subordini o sopprima i legittimi diritti e interessi di una delle parti in causa.

8. Contro il razzismo
Per i liberali e per la sinistra, l’antirazzismo è una verità assiomatica. Ci opponiamo a qualsiasi forma di pregiudizio o comportamento razzista: il razzismo anti-immigranti dell’estrema destra, il razzismo tribale e interetnico, il razzismo contro le persone provenienti dagli stati islamici, o i loro discendenti, e in particolare il razzismo che può essere nascosto sotto le vesti della guerra al terrorismo. Tuttavia, l’ultimo riaffiorare di una forma di razzismo molto antica, l’antisemitismo, non è ancora sufficientemente riconosciuto dagli ambienti di sinistra. Alcuni arrivano a strumentalizzare le legittime rivendicazioni dei palestinesi sotto occupazione israeliana e nascondono i propri pregiudizi contro gli ebrei dietro la formula dell’antisionismo. Noi ci opponiamo, come è ovvio, anche a questa forma di razzismo.
9. Uniti contro il terrorismo
Noi avversiamo ogni forma di terrorismo. Prendere deliberatamente di mira popolazioni civili è un crimine, per il diritto internazionale e per tutti i codici di guerra, e non può essere giustificato dalla tesi secondo la quale ciò viene fatto per una causa giusta. Il terrorismo ispirato dall’ideologia islamista oggi è molto diffuso e minaccia i valori democratici, la vita e la libertà della gente in molti paesi. Questo non deve giustificare i pregiudizi contro gli islamici, che ne sono le vittime principali e tra i quali si trovano alcuni dei più coraggiosi oppositori del terrorismo. Ma il terrorismo è una minaccia da combattere, senza scusanti.

10. Per un nuovo internazionalismo
Siamo a favore di una politica internazionalista e di una riforma del diritto internazionale – nell’interesse della democratizzazione globale e dello sviluppo globale. L’intervento umanitario, quando si rende necessario, non vuol dire ignorare la sovranità ma significa porla, più correttamente, nella comunità dei popoli. Se minimamente uno stato protegge la vita quotidiana dei propri cittadini (senza torturare, uccidere o massacrare la popolazione, e soddisfacendone i bisogni essenziali per la sopravvivenza), allora la sua sovranità va rispettata. Ma quando uno stato viola atrocemente la vita quotidiana dei cittadini, ha rinunciato alla propria sovranità e la comunità internazionale ha il dovere di intervenire e prestare soccorso. Quando si arriva alla disumanità, vige il dovere di proteggerne le vittime.

11. Apertura critica alle idee
Traendo lezione dalla disastrosa vicenda degli apologeti di sinistra dei crimini dello stalinismo e del maoismo, come da quella più recente ma dello stesso tenore (alcune delle reazioni al crimine dell’11 settembre, la comprensione per il terrorismo suicida, le indegne alleanze, all’interno del movimento contro la guerra, con teocrati illiberali), noi rifiutiamo l’idea che non debba esserci opposizione “da sinistra”. Nello stesso modo, rifiutiamo di pensare che non possano esservi aperture verso idee e persone “a destra”. La sinistra che si allea a forze antidemocratiche, o che le giustifica, deve essere condannata chiaramente e severamente. D’altro canto, prestiamo attenzione alle voci e alle idee liberali o conservatrici che possono contribuire a rafforzare le norme e le pratiche democratiche e le battaglie per il progresso dell’umanità.

12. Per il rispetto della verità storica
Richiamandoci alle origini umanistiche del movimento progressista, sottolineiamo il dovere, per ogni vero democratico, di mostrare rispetto per la verità storica. Non solo fascisti, negatori dell’Olocausto e simili hanno provato a offuscare i fatti storici: una delle principali tragedie per la sinistra è che proprio su questo tema la propria reputazione è stata gravemente compromessa dal movimento comunista internazionale, e molti ancora non hanno imparato la lezione. Onestà intellettuale e politica, sincerità e chiarezza devono essere per noi un dovere.

13. Libertà di pensiero
Noi condividiamo il concetto liberale di libertà di pensiero. Oggi è più che mai necessario affermare che, salvo i casi di diffamazione, calunnia o istigazione alla violenza, tutti devono sentirsi liberi di criticare qualsiasi idea o concezione del mondo, compresa la religione (specifiche religioni o la religione in generale). Rispettare gli altri non significa non potere dare giudizi sulle loro convinzioni, se non le condividiamo.

14. Creatività open source
Nel contesto del libero scambio delle idee e per incoraggiare la creatività di gruppo, siamo favorevoli allo sviluppo aperto e accessibile di software e di altre opere di ingegno, e contrari al brevetto di geni, algoritmi e fatti naturali. Ci opponiamo all’estensione retroattiva delle leggi sulla proprietà intellettuale, che avvantaggiano finanziariamente le imprese che detengono i copyright. Il modello open source è collettivista e competitivo, collaborativo e meritocratico. Non è un ideale teorico ma una realtà sperimentata da decenni, che ha prodotto opere fruibili da tutti, valide e durature. Si può addirittura affermare che l’ideale di collegialità della comunità scientifica, che ha portato alla collaborazione open source, è stata per secoli alla base del progresso umano.

15. Un’eredità storica preziosa
Rifiutiamo la paura della modernità, la paura della libertà, l’irrazionalità, la sottomissione delle donne; e riaffermiamo le idee che hanno ispirato le parole d’ordine delle rivoluzioni democratiche del Settecento: libertà, eguaglianza e solidarietà; diritti umani; la ricerca della felicità. Queste idee illuminanti sono diventate parte della nostra eredità comune grazie alle trasformazioni socialdemocratiche, egalitarie, femministe e anticoloniali dell’Ottocento e Novecento – attraverso la ricerca della giustizia sociale, le prestazioni dello stato sociale, la fratellanza e sorellanza tra tutti gli uomini e le donne. Nessuno deve essere escluso, nessuno deve essere dimenticato. Noi ci schieriamo a favore di questi valori, ma non siamo fanatici. Noi abbracciamo anche i valori della analisi critica, del dialogo aperto, del dubbio creativo, della cautela di giudizio; siamo inoltre coscienti delle difficoltà e degli ostacoli oggettivi. Siamo perciò contrari a qualunque pretesa di verità totale, indiscussa o indiscutibile.

C. Alcune precisazioni
Difendiamo le democrazie liberali e pluraliste contro tutti coloro che ne sminuiscono le differenze rispetto ai regimi totalitari e tirannici. Ma tali democrazie hanno limiti e punti deboli. Le battaglie per lo sviluppo di istituzioni e procedure più democratiche, per dare forza a tutti coloro che non hanno potere o possibilità di far sentire la propria voce o sono privi di risorse politiche, sono componenti essenziali del programma della sinistra. I fondamenti sociali ed economici sui quali sono nate le democrazie liberali, sono segnati da profonde disuguaglianze di ricchezza e di reddito e da persistenti ingiustificati privilegi. Le disuguaglianze nel mondo gridano scandalo alla coscienza morale dell’umanità. Milioni di persone vivono in condizioni di terribile povertà e migliaia ogni giorno – soprattutto bambini – muoiono per malattie che potrebbero essere evitate. Le disuguaglianze tra individui e tra paesi determinano arbitrariamente le condizioni di vita delle persone.
Questa situazione è un atto d’accusa permanente alla comunità internazionale. La sinistra, coerentemente con le proprie tradizioni, lotta per la giustizia e per una vita dignitosa per tutti. Coerentemente con queste tradizioni, dobbiamo anche combattere contro le potenti forze della tirannia totalitaria che stanno nuovamente avanzando. Queste due battaglie devono essere combattute simultaneamente. L’una non può essere sacrificata a beneficio dell’altra.
Sconfessiamo quel modo di pensare secondo il quale i fatti dell’11 settembre 2001 sono un risultato meritato o comunque prevedibile, nel contesto della legittima opposizione alla politica estera americana. In realtà, quel giorno è stato perpetrato un assassinio di massa, mosso da ripugnanti convinzioni fondamentaliste e assolutamente non riscattabile in alcun modo. Nessuna formula ambigua può offuscare questa verità.
I promotori di questa dichiarazione hanno punti di vista diversi sull’intervento militare in Iraq, alcuni favorevoli e altri contrari. Riconosciamo le profonde ma comprensibili diversità di opinioni sulla opportunità di quell’intervento, sul modo in cui è stato realizzato, sulla gestione (o mancanza di gestione) delle sue conseguenze e sulle prospettive di un’effettiva trasformazione democratica in Iraq; siamo tuttavia uniti nel giudicare il regime baathista come reazionario, fascista e assassino, e dichiariamo che la sua caduta è stata una liberazione per il popolo iracheno. Siamo uniti anche nel considerare che, dal giorno in cui essa è avvenuta, l’impegno prioritario della sinistra avrebbe dovuto essere la lotta per istituire in Iraq un sistema politico democratico, per ricostruire le infrastrutture del paese e per dare vita in Iraq, dopo decenni di brutale oppressione, a un tipo di vita normale per i cittadini dei paesi democratici – invece di insistere in sterili discussioni sull’opportunità o meno dell’intervento militare.
Per questo motivo ci contrapponiamo non solo a quelli che a sinistra hanno attivamente dato sostegno alle bande di teppisti jihadisti e baathisti della cosiddetta resistenza irachena, ma anche a coloro che si proclamavano equidistanti tra queste forze e quelle che tentavano di portare il paese ad una nuova vita democratica. Non abbiamo nulla a che fare, inoltre, con chi sostiene solo a parole questo tentativo di democratizzazione, impegnando invece gran parte delle proprie energie nella critica agli avversari politici (considerati responsabili di tutti i problemi dell’Iraq) e tacendo invece sugli ignobili comportamenti delle truppe “ribelli” irachene. I molti che, da sinistra, si opponevano al cambiamento di regime in Iraq ed erano incapaci di comprendere i motivi di chi era invece favorevole, sciorinando anatemi e scomuniche e più recentemente pretendendo scuse e ravvedimenti, hanno in questo modo rinnegato tutti i valori democratici che affermano di voler difendere.
Gli atti di vandalismo contro le sinagoghe e i cimiteri ebraici e gli attacchi fisici agli ebrei sono in aumento in Europa. “L’antisionismo” è cresciuto al punto che organizzazioni considerate di sinistra sono disposte a dar voce ad esponenti apertamente antisemiti o ad allearsi a gruppi antisemiti. Ci sono individui, anche tra i ceti colti e benestanti, che non si vergognano a dire che la guerra in Iraq è stata combattuta in nome e per conto di interessi ebraici, o ad alludere più sottilmente alla nefasta influenza degli ebrei nella politica internazionale o interna – opinioni che per più di 50 anni dopo l’Olocausto nessuno avrebbe osato sostenere senza screditarsi di fronte al mondo. Noi contrastiamo tutti i vaneggiamenti di questo tipo.
La violazione dei minimi diritti umani ad Abu Ghraib, a Guantanamo o in altri casi simili deve essere assolutamente condannata per ciò che è: un allontanamento dai principi universali che sono stati storicamente acquisiti e assicurati nei paesi democratici, in particolare negli Stati Uniti d’America. Ma noi rifiutiamo i doppi standard utilizzati da molte persone di sinistra che considerano gravissime le violazioni dei diritti umani compiuti dai paesi democratici, mentre non si odono condannare altre vicende ben più gravi. Questa tendenza è arrivata al punto che alcuni portavoce di Amnesty International, organizzazione molto rispettata nel mondo grazie al decennale lavoro svolto, hanno paragonato Guantanamo ai Gulag sovietici o sostenuto che le misure adottate dagli Stati Uniti e da altri paesi liberal-democratici nella guerra al terrorismo costituiscono il più grave attacco ai diritti umani mai visto negli ultimi 50 anni; quel che è peggio, esponenti della sinistra hanno plaudito quei discorsi.

D. Conclusioni
E’ di vitale importanza per il futuro della politica progressista che oggi le persone di opinione liberale, egalitarista e internazionalista si pronuncino con chiarezza. Dobbiamo prendere posizione contro chi ritiene che l’intero programma progressista e democratico debba essere subordinato a un semplicistico e totalizzante “antiimperialismo” oppure alla lotta contro l’attuale governo americano. Invece, i contenuti e gli obiettivi veri di questo programma – i valori della democrazia e dei diritti umani, la guerra ai privilegi immotivati ed ai poteri arbitrari, la solidarietà con chi combatte la tirannia e l’oppressione – sono ciò che contraddistingue e sempre contraddistinguerà una sinistra alla quale valga la pena di appartenere.
The Euston Group
(traduzione di Mario Ristoratore, Ph.D.
ex Fulbright Scholar, Brandeis University)