04 maggio 2006

Il 5 maggio di Tony Blair

Sul Riformista di oggi i guai di Tony Blair nel giorno delle elezioni locali. Al centro il tema dell'immigrazione e le poco commendevoli performances del ministro degli Interni Charles Clarke. L'articolo del Riformista è accessibile solo agli abbonati, pertanto lo copio/incollo qui di seguito.

REQUIEM. CLARKE E GLI ALTRI, TRAVOLTI DALL’IMMIGRAZIONE
Blair attende il suo cinque maggio
DI MAURO BOTTARELLI

Londra. I giornali del mattino, dal Daily Mail al Times fino al Sun, non lasciavano scampo a Charles Clarke: tutti sparavano in prima pagina la notizia in base alla quale Mustafa Jamma, il killer somalo della poliziotta e madre di tre figli, Sharon Beshenivsky, uccisa lo scorso novembre doveva essere espulso dalla Gran Bretagna nove mesi prima di compiere l’omicidio. Come dire: se l’Home Office avesse fatto il suo dovere, questa donna sarebbe ancora viva. Un macigno sulle spalle già stanche e curve del suo titolare che, alle 11.30 del mattino, ha preso la parola ai Commons per un intervento reso necessario e improrogabile dai dettagli sempre più compromettenti che stanno facendo gonfiare a dismisura lo scandalo, dalle richieste di dimissioni sempre più pressanti di Tory e liberaldemocratici e dall’imminenza del voto amministrativo di oggi, un disastro annunciato che potrebbe - con una bassa affluenza alle urne - trasformarsi addirittura in tragedia politica per il Labour. Il ministro si è difeso attaccando. O, meglio, annunciando il reperimento e l’espulsione di 70 dei delinquenti ingiustamente rilasciati e proponendo misure più rigide riguardo i criminali stranieri che comportino l’immediata espulsione per chiunque si sia macchiato di un crimine che preveda la reclusione. Richiesta immediatamente ribadita da Tony Blair nel corso del question time seguito all’intervento di Charles Clarke, durante il quale il primo ministro è stato frontalmente attaccato da David Cameron, secondo cui «la gente sta pagando il prezzo dell’arrogante attaccamento al potere di un leader che ha completamente perso il controllo della situazione». Per Tony Blair, invece, Clarke sta cercando di risolvere una situazione grave dovuta ad «un sistema che non ha funzionato per anni e che ora invece funziona. Penso che sia giusto che continui a farlo poiché è completamente sbagliato affermare che questo problema sia stato creato o sia iniziato sotto questo ministro dell’Interno». Sprezzante la replica di David Cameron: «Chi ascolta questa risposta penserà seriamente che sia patetica». Uno scaricabarile? Non proprio, visto che comunque il Labour governa da nove anni e soprattutto che questa situazione non si presenta per la prima volta all’attenzione della politica. Il problema rappresentato dallo scandalo, anche in previsione del voto, è che questo fallimento - oltre ad andare a toccare un nervo scoperto della società britannica - si pone come la prova lampante della recidività del governo laburista in materia. Nel febbraio 2004, infatti, un’inchiesta del Sunday Times resa possibile dalle delazioni del funzionario dell’Home Office, Steve Moxon, portò alla luce un’incredibile serie di incompetenze, insabbiamenti ed abusi d’ufficio per quanto riguardava i flussi migratori e il rilascio di permessi di soggiorno, la cosiddetta managed migration. In quel caso lo scandalo costò immediatamente il posto al titolare del ministero, Beverly Hughes ma anche allo stesso Moxon che fu licenziato in tronco l’8 marzo 2004: il quale, però, si rifece con i diritti d’autore del suo libro, The great immigration scandal. A gioire per questa pressione sul governo sono chiaramente i partiti che maggiormente spingono sull’acceleratore della lotta all’immigrazione clandestina e della sicurezza, ovvero i conservatori e il British national party. Quest’ultimo, stando alle ultime rilevazioni, attende soltanto il dato dell’affluenza per poter cantare vittoria: più il turnout è basso, più il partito xenofobo di Nick Griffin può avvicinarsi al traguardo storico di aggiungere 70 consiglieri ai 26 su cui può già contare. La tensione razziale, in questi giorni, è alle stelle. Colpa dello scandalo che ha investito l’Home Office, ovviamente, ma anche del clima di esasperazione che si respira in molte aree industriali della cintura londinese e della Midlands. E’ dell’altro giorno la notizia del fermo di un 33enne bianco ritenuto responsabile di tre attentati incendiari in altrettanti negozi di alimentari gestiti da pachistani nell’East End londinese, uno dei quali è costato la vita a Khizar Hayat, bruciato vivo nel suo bazar di Kennington. Il voto di oggi, quindi, si pone più che mai come un referendum sull’azione di governo più che come una tornata prettamente amministrativa e locale: «Se gli elettori sceglieranno di soprassedere a questa spettacolare incompetenza, Blair potrà dirsi fortunato», sentenziava ieri impietoso il Times. Ancora ieri i sondaggi vedevano i Conservatori di David Cameron avanti 35 a 32. La mattina di domani potrebbe davvero essere degna della sua nomea per Tony Blair: 5 maggio.

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