Il teorico della "Terza via", nonché mentore di Tony Blair, Lord Anthony Giddens, ha scritto un articolo, uscito ieri su La Repubblica, in cui parla delle due sinistre che si confrontano oggi nel mondo: quella riformista e quella radicale, naturalmente. Si parla anche del recente libro di Nick Cohen, "What's Left?" e dell'Italia, che ha "un bisogno disperato di riforme e innovazione". Molto interessante e, dal mio punto di vista, estremamente condivisibile. Ho riprodotto l'articolo per intero:
Le due sinistre
di Anthony Giddens
La Repubblica, 27 febbraio 2007
In Gran Bretagna è stato appena pubblicato un libro molto interessante che si intitola What's Left?. Ne è autore Nick Cohen, un insigne giornalista di sinistra, socialista sin da giovane, ma che oggi riconosce che il socialismo è morto da quando l'utopia di un'economia post-capitalista non è più all'ordine del giorno. La morte del socialismo, dice Cohen, ha portato una "tetra liberazione" a chi era schierato con la sinistra più radicale. Al posto di prefigurarsi un futuro socialista, adesso questa sinistra è libera di accompagnarsi a qualsiasi movimento, purché sia contro lo status quo e, più specificatamente, contro l'America. Qualsiasi cosa possa pregiudicare la posizione dell'America nel mondo è sottoscrivibile. Chiunque sia contro gli Stati Uniti tout court è patrocinabile. Tutto ciò spinge la sinistra radicale in direzione di alcune visioni del mondo del tutto irrazionali.
Perché mai, si chiede Cohen, la sinistra sottovaluta la minaccia che l'Islam militante rappresenta per i valori dell'Occidente? Questa forma di Islam incarna tutto ciò verso cui la sinistra fa mostra di provare avversione: è contro la libertà di espressione, non ammette i valori liberali e crede nell'oppressione dichiarata del sesso femminile, ivi compresi i delitti d'onore. Perché la Palestina è una causa per la quale la sinistra si batte, ma così non è per la Cina, il Sudan, lo Zimbabwe, il Congo e la Corea del Nord? Perché coloro che hanno marciato manifestando contro l'invasione dell'Iraq non hanno condannato il regime fascista di Saddam Hussein con la stessa veemenza con la quale hanno avversato la guerra?
Nel momento in cui il governo Prodi è caduto perché due senatori non erano disposti ad accettare la presenza dei soldati italiani in Afghanistan o l'allargamento della base Nato di Vicenza, questi sono interrogativi pertinenti. I Taliban si preparano a scagliare un'offensiva in primavera e la Nato sta portando avanti in Afghanistan un incarico molto importante, che vede coinvolti i soldati di vari Paesi. Davvero i contrari a questa missione preferirebbero che l'Afghanistan facesse ritorno a una società dominata da una consorteria religiosa che è tra le più intolleranti e prevaricatrici al mondo? Si può essere d'accordo o in disaccordo con l'iniziale intervento militare in Afghanistan, ma adesso abbandonare quel Paese sarebbe il colmo della follia e dell'irresponsabilità.
Nondimeno, la sinistra oggi è divisa al proprio interno. La sinistra radicale non solo è una variante più avventurosa di riformismo: essa ha altresì una visione completamente diversa del mondo, una che potremmo a ragion veduta definire reazionaria. Gli odierni radicali di sinistra sono conservatori sotto mentite spoglie. Persistono ad avere una mentalità da Guerra Fredda, ben dopo la scomparsa di quel mondo bipolare. Tuttora sperano ... che cosa?
Un ritorno al socialismo o al comunismo non potrà verificarsi, dal momento che era errato - così oggi noi riteniamo -il presupposto dal quale partivano entrambi, vale a dire il fatto che lo Stato potesse sostituirsi ai mercati nell'adeguare la produzione alle necessità umane. Soltanto i mercati capaci di reagire ogni giorno a milioni di indici dei prezzi saranno in grado di affrontare le enormi complessità delle economie moderne. Questo non significa che dovremmo essere alla mercé dei mercati, non più di quanto siamo alla mercé dello Stato. Una società positiva che la sinistra dovrebbe sostenere a livello locale, nazionale e globale è quella che sa controbilanciare un mercato efficiente e un governo democratico e dinamico, unitamente a una sfera civile solida, che prende parte a ogni processo; un ordine sociale contrassegnato dalla libertà di azione e di espressione, dalla legalità e dall'uguaglianza tra uomini e donne. Questi sono ideali concreti, non fantasie utopistiche, e sono ideali per i quali vale la pena combattere. La caduta del socialismo non corrisponde alla fine della sinistra. L'obiettivo di creare una società che sappia abbinare prosperità e solidarietà a un basso livello di ineguaglianza è quanto mai vivo.
È triste per me, sostenitore tenace di un centrosinistra coeso in Italia, constatare che pochi individui — di sinistra — potrebbero ancora una volta riconsegnare il governo del Paese alla destra politica. Che genere di politica è mai questa nella quale non vi è senso della responsabilità collettiva, nella quale il bene più grande del Paese è sacrificato sull'altare della correttezza politica?
A un osservatore esterno tutto ciò appare privo di senso. A me sembra che alcune persone appartenenti alla sinistra tradizionale molto semplicemente non siano pronte ad accettare le responsabilità di governo. Sono felici soltanto all'opposizione, quando di ogni cosa è possibile biasimare la destra, in modo alquanto conveniente e familiare. Ciò ben si confà a quello che afferma Cohen: solo quando si sa contro cosa si è, e non per che cosa ci si batte, allora, innegabilmente, si è più contenti all'opposizione.
La sinistra tradizionale forse oggi può ancora trovare qualcuno da ammirare, Hugo Chavez in Venezuela, per esempio, o Evo Morales in Bolivia, o forse ancora, Fidel Castro. Anche loro ascrivono tutti i mali del mondo agli americani, oppure alle grandi e cattive corporation. Nondimeno, si guardi con attenzione a quello che questi leader stanno facendo nei loro Paesi: Chavez in Venezuela sta distruggendo la democrazia, promette di utilizzare i proventi del petrolio nazionale per aiutare gli indigenti, ma da quando egli ha assunto la leadership la percentuale di chi è in situazione di povertà è di fatto cresciuta. Morales sta nazionalizzando l'industria petrolifera boliviana, mettendo così in fuga quegli stessi investitori d'oltreoceano di cui l'industria del Paese ha urgentemente bisogno, se intende essere competitiva e contribuire allo sviluppo di quella povera nazione. Cuba da quaranta anni è una dittatura, con un'infrastruttura economica che è andata letteralmente a pezzi da quando gli aiuti provenienti dall'Unione Sovietica sono cessati. Per contro, sotto i governi riformisti di Ricardo Lagos, e attualmente di Michelle Bachelet, il Cile è diventato la nazione di maggior successo dell'America del Sud. Questo è il Paese al quale gli altri della regione dovrebbero guardare, per prenderlo a modello per il loro stesso futuro. La percentuale di persone che vivevano sotto la soglia di povertà è scesa dal 30 per cento e più di dodici anni fa all'odierno 18 percento.
L'Italia ha un bisogno disperato di riforme e innovazione. Dal mio punto di vista soltanto un centrosinistra progressista potrà fornirgliele. Sia nel caso in cui l'attuale governo sopravviva, sia nel caso in cui esso invece non sopravviva, i progressisti in Italia devono continuare a perseguire un raggruppamento politico efficiente e integrato. Meglio ancora, un unico Partito Democratico, in grado di arrivare al potere e restarvi, senza più dover dipendere - ammesso che ciò sia possibile - da coalizioni fragili ed effimere, delle quali fanno parte gruppi politici la cui visione appartiene a un mondo ormai scomparso. Questo è un obiettivo da perseguire con rigenerato vigore e rinnovato impegno, qualsiasi cosa accada a breve termine.
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